venerdì 22 maggio 2009

Fate l'amore non la guerra




Se si utilizza il cinema come specchio culturale che riflette le tendenze in atto in una società, un’indagine pur veloce conferma che i titoli usciti in Italia nel 1968, o immediatamente dopo, rendono bene il cambiamento in atto sia nella sfera individuale che nella percezione collettiva. Al di là dei generi narrativi e delle differenti sensibilità autoriali, spesso si riscontra un filo rosso trasversale, in cui traspare la sensazione di uno spirito del tempo in rapida modificazione. In questa direzione, il percorso utilizza un famoso slogan dell’epoca, quel “fate l’amore e non la guerra”, che da un lato pone l’accento sull’elemento contestatario, che nell’antimilitarismo trova uno dei bersagli più simbolici rispetto al fallimento di certi cardini morali conservatori, quali Patria, Famiglia e Dio. D’altro canto, l’invito a fare l’amore rende la voglia di utilizzare il corpo, la sessualità, ma anche la creatività e l’espressione di sé in senso lato, come strumenti per una nuova prospettiva culturale.
Questi elementi sono fondamentali, seppure intrecciati secondo logiche e percezioni molto eterogenee, nei quattro film guida del percorso. La sperimentazione linguistica e narrativa di
Ciao, America (Greetings, 1968) di Brian De Palma, le avventure fantastiche e l’esplosione di vitalità estetica del film sui Beatles di George Dunning Yellow Submarine (1968), i paradossi sociali che esplodono a catena nel surreale e rivoluzionario Hollywood Party (The Party, 1968) di Blake Edwards e le atmosfere torbide e malate, in bilico tra liberazione sessuale e l’elogio della follia presenti in Grazie zia (1968) di Salvatore Samperi, appaiono quattro esempi emblematici per rendere il clima di grande fervore e di originalità del periodo.

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