Considerato con distacco, il movimento studentesco nato nel '68 appare interpretabile come un fortissimo fenomeno di modernizzazione sociale, culturale e politica, all’insegna soprattutto di una dimensione anti-autoritaria.
Nel passaggio dalla società agricola alla società industriale di massa, il movimento infatti ha messo in discussione, quasi sempre a partire prima di tutto dal terreno universitario, una dopo l’altra le strutture e le istituzioni: dalla famiglia alla scuola, dalla fabbrica ai quartieri cittadini, dall’informazione alla repressione, dai rapporti sessuali a quelli generazionali, dalle carceri ai manicomi, dalle forme della politica fino anche alle forme della religione. Nell’arco di alcuni mesi, la dialettica innescata dal movimento studentesco tra libertà e potere si è riverberata dall’università a tutti gli ambiti sociali e istituzionali, anche in contesti socio-politici profondamente diversi (c’è stato infatti un Sessantotto anche nei Paesi a regime autoritario, sia di destra che di sinistra, sia in Europa che in altri Continenti).
Da questo punto di vista si potrebbe dire che tale movimento è stato il primo grande fenomeno di “globalizzazione” e di mondializzazione che si sia manifestato dopo la seconda guerra mondiale: un fenomeno culturale e politico – ma anche di costume e di stili di vita – verificatosi ben prima che prevalesse la globalizzazione di carattere economico-finanziario.
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4 anni fa
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