mercoledì 27 maggio 2009

Figli dei fiori

I «PARINIANI»


Il 5 marzo è la volta dei «pariniani», che danno vita alla cosiddetta «occupazione bianca»: chi vuole può seguire le lezioni, gli altri si ritrovano in aula magna (messa a disposizione dal preside Daniele Mattalia, che per questo e per essersi rifiutato di chiamare la polizia per far sgomberare la scuola sarà temporaneamente sollevato dal suo incarico), dove si svolgono le assemblee. Queste le richieste dei ragazzi: «Vorrebbero che l’orario dedicato allo svolgimento dei programmi ministeriali venisse ridotto; che allo studio individuale venisse sostituito un metodo di studio di gruppo, fondato prevalentemente sulla ricerca, oltre che sul criterio della libera adesione; che lo studio a casa venisse sostituito da "controcorsi" da tenersi nel pomeriggio e imperniati in prevalenza su temi di attualità sociologici; e che, infine, il voto trimestrale venisse sostituito con un giudizio complessivo, che tenesse conto dell’interesse dimostrato da ciascuno all’attività dei gruppi di ricerca», scrive il Corriere della Sera. Lo stesso giorno una ventina di ragazzi della Statale si uniscono a un gruppo di operai che picchetta fuori da una vetreria di Corsico. Anche il Carducci, il Manzoni e l’Einstein vengono occupati e la mattina del 7 marzo circa duecento studenti del Berchet organizzano un corteo che da via Commenda, sede del liceo, sfila per le vie del centro scandendo slogan del tipo «Scuola sì, governo no», facendo tappa alle sedi di alcuni licei per convicere i loro colleghi a unirsi alla protesta.

eskimo e sciarpe


Sono in molti a iscrivere in quella giornata concitata del 1967 l’inizio del '68, un movimento di protesta che parte dalle università, entra nelle scuole e approda in fabbrica, fino a contagiare l’intera società. I ragazzi appendono le giacche negli armadi per indossare eskimo color verde con tanto di lunghe sciarpe, sostituiscono la cravatta con fazzoletti rossi annodati al collo, quando non portano maglioni girocollo, mentre le ragazze rinunciano al trucco e preferiscono i jeans alle gonne, calzando stivali piuttosto che scarpe col tacco. Qualcuno tiene il «libretto rosso» di Mao infilato in tasca, i più si muniscono di borse a tracolla in pelle, che riempiono di giornali e libri di Sartre e Marcuse. Si parla della guerra in Vietnam e dei problemi della classe operaia, e si ascoltano i Beatles, Bob Dylan, Joan Baez e Phil Ochs. Nei dintorni della Statale campeggiano i primi graffiti, e a fine febbraio le facoltà di Lettere e Legge dell’università sono occupate. Gli studenti del liceo non vogliono essere da meno e sono i ragazzi del Berchet i primi (d'Italia) ad occupare la scuola il 26 gennaio 1968, per poi sgomberarla la sera:
«Alle 20.30, ritenendo esauriti i lavori dell’occupazione veniva sciolta l’assemblea e con ordine uscivamo (gli studenti,
ndr) dal Berchet ponendo termine all’occupazione», si leggerà sul giornale della scuola.

Le contestazioni e gli ideali dei sessantottini


È il 16 novembre 1967, quando, davanti alla Cattolica, si svolge un’assemblea studentesca in cui a tenere banco è Mario Capanna


Il pretesto è l’aumento delle tasse. Ma è solo un pretesto, perché dietro la prima occupazione dell’Università Cattolica di Milano c’è ben altro. C’è il desiderio di cambiare l’università italiana, che gli studenti considerano vecchia e autoritaria, così come la proposta di riforma dell’allora ministro della Pubblica Istruzione, Luigi Gui, che prevede l’introduzione di limiti di accesso e di tre diversi livelli di laurea, andando nella direzione opposta di ciò che chiedono i ragazzi, ovvero maggiore egualitarismo. È il 16 novembre 1967, quando, davanti all’ingresso della Cattolica, si svolge un’assemblea studentesca in cui a tenere banco è un giovane alto, magro e barbuto, che si chiama Mario Capanna, futuro leader del Movimento studentesco e parlamentare negli anni '80. Il verdetto è pressoché unanime: bisogna occupare la Cattolica. Detto fatto, anche se solo per poche ore, perché il rettore chiama la polizia, e in nottata gli agenti del commissario Luigi Calabresi provvedono ad allontanare gli occupanti dall’università. Gli studenti esprimono «il proprio sdegno, dolore e il turbamento della propria coscienza umana, civile e cristiana per il comportamento delle Autorità, in seguito allo stato di occupazione»; nel frattempo le agitazioni proseguono, a Milano e nel resto d’Italia.

lunedì 25 maggio 2009

Il mondo studentesco come classe sociale



A partire dalla metà degli anni Sessanta a venire alla ribalta è un mondo prettamente ed esclusivamente giovanile, quello studentesco. Mai prima di allora gli studenti erano riusciti a conquistarsi l’etichetta di soggetto, se non addirittura di classe sociale, ma soprattutto, mai si sarebbe immaginato che, nel giro di pochi anni, essi avrebbero avuto la capacità di reggere le sorti di alcuni Paesi. Il fenomeno della contestazione studentesca comincia a farsi sentire sin dall’inizio degli anni Sessanta: il sistema scolastico era forse uno dei più immobili e statici, legato ad un acuto bigottismo, un’ipocrisia, un perbenismo, una tradizione difficilissimi da intaccare. Nella scuola lavorava una categoria di insegnanti ancorata staticamente a vecchi metodi didattici, per nulla disposta e preparata ad accogliere alunni delle più svariate provenienze sociali e culturali, una categoria che aveva un’immagine di sé e del proprio ruolo spesso conservatrice e autoritaria; le scuole erano rette da presidi molto severi e poco disposti ad adattarsi a situazioni nuove e difficili.
Dietro il professore che esamina c’è sempre lo Stato, il criterio borghese che valuta l’attendibilità della forza lavoro in via di qualificazione a essere domani […] fungibile e contenibile entro i rapporti di produzione dati.
La scuola rappresentava quindi, almeno in parte, il mondo circostante: forte selezione ogni anno sin dalle elementari, grossa discriminazione di ceto e di origine, enorme distanza tra alunni e professori, impossibilità di comunicazione tra le due diverse generazioni e inadeguatezza dei programmi rispetto alle nuove esigenze lavorative. In particolar modo la scuola d’indirizzo professionale tendeva a riprodurre le divisioni lavoratore-padrone che vigevano in fabbrica, tendendo a rendere gli studenti semplici operai da inserire nel ciclo produttivo.
Il sistema d’istruzione italiano sembrava educare all’ubbidienza, ad accettare la propria condizione sociale, spesso a non pensare per proprio conto; insisteva su un sapere puramente nozionistico e formalistico, portando sempre più i giovani ad odiare la cultura e i professori, le aule tetre e i corridoi dall’aspetto vagamente militaresco.

sabato 23 maggio 2009

Studenti in prima linea


Per Potere studentesco noi intendiamo il diritto degli studenti di decidere […] in maniera determinante delle strutture dell’università, del suo funzionamento e delle sue finalità […]
(Documento sul potere studentesco approvato all’assemblea della Facoltà di magistero, in “Università: l’ipotesi rivoluzionaria” cit. pp.245-6)

La contestazione studentesca


Nel ‘68 ci si trova davantColore testoi ad un fenomeno planetario e globale, una specie di eruzione vulcanica che esplode da una miriade di camini in ogni angolo del pianeta, coinvolge tutti i settori della società e porta in superficie dall’anima profonda dell’umanità, un magma incandescente ricchissimo di elementi creativi, capace di produrre un balzo in avanti dell’evoluzione culturale della specie.


Durante quegli anni si mischiano due potenti fantasmi, o meglio fantasie ideologiche: l’ideale di una società senza repressione, a cominciare da quella sessuale, e la volontà di lottare per cambiare il mondo. Lo vede subito un osservatore come Pasolini:

“L’ideale della società libera e amichevole vinse fin dall’inizio contro quella della lotta, che sopravvisse solo presso le frange estreme della rivolta armata.”

Ricordare oggi il ‘68 vuol dire ritrovarsi di fronte alla duplicità della sua ispirazione: fine della repressione, e dunque di tutte le “discipline” rivoluzionarie e delle gerarchie che porta con sé; consapevole decisione per la lotta, che nelle attuali condizioni del mondo e dei rapporti di forza tra ordine costituito e bisogno di rinnovamento, richiede molta più fantasia che quella tradizionalmente orientata a imbracciare il fucile.


La rivoluzione è importante per il fatto stesso d’esserci stata. La sua esistenza rivela ai contemporanei e a tutte le generazioni che seguiranno, la possibilità da parte degli uomini di intervenire attivamente sulla storia e su un destino che apparivano sino ad allora “ineluttabili” e “naturali”.
I movimenti dei tardi anni Sessanta sono effettivamente uno straordinario veicolo di circolazione di idee, in quanto caratterizzati da un’eccezionale “fame” di interpretazioni e di punti di vista critici sulla realtà.

Se il movimento è, diversamente da tanti altri, anche un’esperienza ad alta densità culturale, questo non dipende solo dal fatto che è, almeno in partenza, un moto di studenti o di élite intellettuali. Il punto è piuttosto che gli obiettivi polemici sollevati sono molto diversi da quelli con i quali si erano misurati i movimenti sociali e politici del dopoguerra europeo.

venerdì 22 maggio 2009

IL CINEMA DEL '68

Quali film si vedevano nel 1968?
Facciamo una selezione arbitraria, che però dà il clima di quell’anno.

2001 ODISSEA NELLO SPAZIO
di Stanley Kubrick (Usa – GB)


Il capolavoro di Kubrick fu visto e commentato da tutti.
Chi lo capì?
Pochi, ma tutti restarono affascinati dall’astronave che ruotava sulle note di Strauss.




LA NOTTE DEI MORTI VIVENTI
di George A. Romero (Usa)


Nel 68 iniziarono ad aggirarsi tra di noi gli zombi,
a partire da questo capolavoro dell’horror.
Chi erano? I borghesi che volevano distruggere la creatività? O proprio i contestatori, feroci oppositori dell’ordine esistente?

La rivolta con la macchina da presa


Il vento della contestazione investì “naturalmente” il cinema, perché il Sessantotto ebbe per protagonista una giovane generazione che sentiva il cinema come proprio e comune linguaggio. In Italia, come tutto l’Occidente, esordirono nel corso degli anni Sessanta molti giovani registi (come Bernardo Bertolucci, Marco Bellocchio, Roberto Faenza), che avrebbero contrassegnato la cinematografia nei decenni successivi e che, all’epoca, con prove autoriali spesso audaci e non sempre riuscite, realizzarono pellicole che si allontanavano dalla tradizione e ispirate da una forte tensione ideologica. Era un’attività seguita da un pubblico attento e appassionato, perché i giovani che occupavano le università e scendevano in piazza per manifestare contro il potere e la scuola classista erano in genere anche avidi consumatori di cinema: una gioventù cinefila che trovava nel cinema non solamente un passatempo suggestivo, ma «un orizzonte culturale essenziale, rivendicabile come proprio», come ha scritto Peppino Ortoleva. Non pochi di essi erano cresciuti come “spettatori” in strutture culturali associative, cattoliche o laiche, legate al mezzo filmico; palestre di discussione e confronto (i cineforum) che producevano, traendola dal cinema, anche riflessione politica.Per molti giovani dunque il cinema era, nel Sessantotto, un medium su cui esercitare la critica, accedere a nuovi mondi, partecipare alla diffusione delle idee. Ed era un medium transnazionale, di richiamo ancor più universale rispetto a quello generazionale per eccellenza, la musica rock. I film viaggiarono nell’occidente anche più velocemente delle idee del Sessantotto. E non è paradossale affermare che contribuirono, a confermarle e a divulgarle, a creare miti e rafforzare stereotipi.

Fate l'amore non la guerra




Se si utilizza il cinema come specchio culturale che riflette le tendenze in atto in una società, un’indagine pur veloce conferma che i titoli usciti in Italia nel 1968, o immediatamente dopo, rendono bene il cambiamento in atto sia nella sfera individuale che nella percezione collettiva. Al di là dei generi narrativi e delle differenti sensibilità autoriali, spesso si riscontra un filo rosso trasversale, in cui traspare la sensazione di uno spirito del tempo in rapida modificazione. In questa direzione, il percorso utilizza un famoso slogan dell’epoca, quel “fate l’amore e non la guerra”, che da un lato pone l’accento sull’elemento contestatario, che nell’antimilitarismo trova uno dei bersagli più simbolici rispetto al fallimento di certi cardini morali conservatori, quali Patria, Famiglia e Dio. D’altro canto, l’invito a fare l’amore rende la voglia di utilizzare il corpo, la sessualità, ma anche la creatività e l’espressione di sé in senso lato, come strumenti per una nuova prospettiva culturale.
Questi elementi sono fondamentali, seppure intrecciati secondo logiche e percezioni molto eterogenee, nei quattro film guida del percorso. La sperimentazione linguistica e narrativa di
Ciao, America (Greetings, 1968) di Brian De Palma, le avventure fantastiche e l’esplosione di vitalità estetica del film sui Beatles di George Dunning Yellow Submarine (1968), i paradossi sociali che esplodono a catena nel surreale e rivoluzionario Hollywood Party (The Party, 1968) di Blake Edwards e le atmosfere torbide e malate, in bilico tra liberazione sessuale e l’elogio della follia presenti in Grazie zia (1968) di Salvatore Samperi, appaiono quattro esempi emblematici per rendere il clima di grande fervore e di originalità del periodo.

Incredibili Trasformazioni

Che cos’è stato il Sessantotto? Il trionfo dell’utopia, una straordinaria stagione di idealismo e protagonismo giovanile, l’ultima rivoluzione “ottocentesca”, il prologo, in Italia, degli anni di piombo?La risposta non può ovviamente essere una sola, come tanti sono i modi per tornare su un anno sicuramente cruciale nella storia recente.
Mi piacerebbe raccontare quella stagione, ricca di attese, tensioni, problemi, delusioni attraverso più mezzi di comunicazione: le canzoni e anche i film di allora proiettati nelle sale, mentre negli infuocati festival si discuteva dell’esistenza stessa della settima arte; i film di oggi, che a distanza di anni, tornano a far rivivere sullo schermo il clima di quella stagione.
Soprattutto il cinema infatti, “specchio” e anche “agente” del suo tempo, contribuisce a dare forma alla realtà, favorendo interpretazioni e modelli del mondo che rappresenta. Se queste considerazioni sono sempre valide, c’è più di un motivo per chiamarle in causa nella rivisitazione del sessantotto, a cominciare dalla centralità del cinema, molto più marcata di oggi, fra i consumi culturali del tempo.

Un anno formidabile


Il 68 è stato un anno in cui è successo di tutto.
Uno di quegli anni in cui la storia si diverte ad accelerare, a concentrare eventi che bastano per un decennio.
Poche considerazioni generali su quell’anno.
Il movimento degli studenti fu davvero eccezionale e “globale”.
Partì dal cuore dei paesi avanzati: gli Usa, e poi Germania, Italia, Francia, coinvolgendo università di periferia e capitali, studenti medi e giovani intellettuali.Si sviluppò, poi, in Spagna, nel cuore della dittatura fascista più importante e ancora dopo coinvolse i paesi socialisti, la Jugoslavia, la Polonia, la Cecoslovacchia. Finì per riguardare anche i paesi latino-americani, il Brasile, e poi il Messico, in coincidenza con le Olimpiadi. E non risparmiò il Giappone, la Corea.
Insieme con la contestazione giovanile troviamo l’esplodere della rivolta dei neri d’America, che incendiano le città, sconvolgono i ghetti.
E inizia, a un anno dalla sconfitta degli eserciti arabi, la rivolta palestinese, oramai sola contro il vittorioso Stato d’Israele. Continua poi, sempre più sanguinosa, la guerra del Vietnam.
Ci sono colpi di stato (in Brasile), stragi feroci (la guerra del Biafra), omicidi politici (Martin Luther King e Bob Kennedy), l’invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia, l'elezione di Nixon alla presidenza USA, dopo la rinuncia di quello in carica.
In Italia per fortuna c’è il movimento studentesco, che ci unisce al resto del mondo, perché la politica e la cultura italiana offrono un triste e provinciale spettacolo.
Manca però, nella descrizione degli eventi di quell’anno, pieni di sangue, scontri, guerre, attentati, l’essenza del periodo. Lo straordinario sentimento di fratellanza, di solidarietà, di amicizia, di speranza, di vitalità, che animò il movimento.
Ma né la storia, né la cronaca sanno descrivere questo.

Ragazzi..questo è l'argomento che ho scelto per il mio elaborato finale..sono dunque quasi arrivata al traguardo e mi piacerebbe condividere con voi i miei pensieri riguardo a quegli anni "FORMIDABILI"!